giovedì 17 novembre 2011

La situazione delle biblioteche italiane non è buona

Tratto da:    http://www.finzionimagazine.it/

biblioteche
Qualche settimana fa vi abbiamo fatto sognare presentandovi la nuova biblioteca di Stoccarda, ma purtroppo non dappertutto le cose vanno così bene, soprattutto per quanto riguarda il nostro Paese. 
Le ultime considerazioni (ovviamente in senso cronologico) su questo tema vengono da Anna Pegoretti, giovane studiosa di Dante presso l'Università di Leeds (UK) che sul blog Ultima sigaretta ha pubblicato una  riflessione sull'attuale funzione delle biblioteche (sia universitarie che pubbliche, di quartiere, comunali e nazionali) e sul degrado di quelle italiane. Il quadro che ne esce non è per niente confortante: sul patrimonio non si discute, ok, ma sulla sua amministrazione il sistema fa acqua da tutte la parti. I problemi più gravi, è inutile che ve lo dica, sono causati dai continui tagli agli investimenti pubblici con conseguente scarsità di mezzi per l'acquisto di nuovi libri, la cura di quelli posseduti e la gestione degli edifici che li ospitano. Ma i limiti non si fermano qui, ahimè. Anche l'organizzazione logistica delle biblioteche e le modalità di prestito appartengono a un'altra epoca – Pegoretti parla di tempi d'attesa da 5 minuti a 5 ore, ma nell'Università in cui ho studiato io i libri li dovevo ordinare il giorno prima per il giorno dopo, per dire -, al punto che si arriva a sfiorare il grottesco: "si narra persino che a Firenze diano per alluvionati testi post-alluvione". 
I problemi sono i soliti noti, insomma, e questa condizione già di per sé vergognosa diventa imbarazzante se paragonata ai sistemi bibliotecari esteri. Come porvi rimedio, dunque? La domanda è da un milione di dollari e la soluzione sembra lontana anni luce. Solo una cosa dobbiamo tenere in mente: "ci meritiamo qualcosa di meglio. [...] Perché nessuno, nessuno, decide programmaticamente di restare ignorante, almeno rispetto al lavoro che fa, qualsiasi esso sia. È così da sempre, dagli australopitechi a oggi. È la chiave dell’evoluzione e della crescita".
Alessandra Ribolini

giovedì 10 novembre 2011

Anna Pegoretti, Un muffin in biblioteca


Un muffin in biblioteca
TRATTO DA: 
http://www.ultimasigaretta.com/ (officina letteraria, laboratorio di idee)
 
Nella vita faccio ricerca. Fondamentalmente mi occupo di letteratura e di storia. Il mio laboratorio è la biblioteca e ve lo voglio raccontare.
Moltissime delle biblioteche universitarie inglesi sono a scaffale aperto (vai a prenderti i libri da solo, per intenderci) e sono organizzate in modo tematico (storia, letteratura, teologia, scienze, legge ecc., con un’infinita serie di suddivisioni). Questo significa innanzitutto che, se partirete cercando un libro o un articolo, tornerete indietro con almeno tre, ovvero: avrete scoperto l’esistenza di due titoli che fino a quel momento ignoravate o non avevate preso in considerazione, e che hanno fortissime probabilità di essere molto più utili del primo, quello per cui vi siete mossi. È anche il motivo per cui, in posti come questi, troverete sempre gente seduta per terra sotto montagne di scaffalature alle ore più improbabili. Mai vista una di queste biblioteche chiudere prima delle otto di sera; al Warburg Institute, da borsista, ho avuto la ventura di aggirarmi per i corridoi a mezzanotte, e non ero mai sola. Lì ho imparato una cosa fondamentale: non c’è catalogo, per quanto ben fatto, che possa sostituire i piedi.
L’impulso che un simile sistema dà alla ricerca è incalcolabile (e si vedano le parole di Claudio Giunta su Le parole e le cose). Lo sa chi lo ha provato: la quantità di cose che passano sotto gli occhi e modificano il ragionamento si moltiplica in modo esponenziale. Nelle biblioteche italiane, spesso ottime per patrimonio, si è per lo più costretti a richiedere i volumi (solitamente un numero ridotto) compilando una scheda, aspettare il momento della distribuzione (tempi di attesa: dai 5 minuti alle 5 ore), capire per quanto lo si può tenere, a quali restrizioni è soggetto il fondo cui appartiene, se si possono fare fotocopie. Spesso va tutto bene, ma vi assicuro che si può aspettare per due ore un libro che non arriverà mai, perché nessuno sa che fine abbia fatto (si narra persino che a Firenze diano per alluvionati testi post-alluvione). E comunque, niente piedi.
Un’altra sensibile differenza, forse ancora più importante, sta nel fatto che la biblioteca centrale (che talvolta è l’unica, tranne strutture di servizio per studenti) di un’università anglosassone contiene squadernati tutti i libri a sua disposizione di tutte le discipline. La sezione di storia non è in un altro edificio a due chilometri di distanza. La teologia non è confinata nello scantinato di filosofia e nemmeno all’istituto di scienze religiose finanziato dalla Curia. No. sta al piano di sopra. E i testi di astronomia non devo andare a prendermeli alla Facoltà di Fisica sotto lo sguardo attonito degli astanti (non è un esempio assurdo: a me è capitato). No. Sono lì.
La British Library
Le biblioteche, naturalmente, non sono solo universitarie: ben prima ci sono quelle pubbliche, di quartiere, comunali e nazionali. Esse, si sa, costano, soprattutto quelle specializzate o che ospitano collezioni antiche. Non è semplice spiegare al contribuente medio perché, in tempi tanto tribolati come quelli attuali, dovrebbe finanziare l’acquisto di libri che solo pochi pazzi leggeranno, pagando pure riscaldamento e luce per lunghi orari di apertura. Ma se volete capire cosa può essere davvero una grande biblioteca e cosa può rappresentare per un intero paese, nella vostra prossima gita a Londra fate un salto alla British Library. Fondata nel 1973, essa è l’erede del patrimonio precedentemente conservato al British Museum. I primi nuclei della collezione risalgono al ’700, con le donazioni di alcuni fondi e della libreria di Giorgio III, oggi stoccata in un enorme cubo di vetro al centro della sede di St Pancras. Intorno a quel cubo si diramano i piani e le passerelle di un edificio funzionalissimo e, almeno dentro, splendido (l’esterno è stato paragonato dal Principe Carlo a un forno crematorio…pazienza). Alla base si trovano la caffetteria (ordinate una zuppa e l’ottimo muffin, e mangiateveli ammirando i libri antichi di Re Giorgio) e una serie di divanetti sempre affollati di persone che lavorano con i loro portatili.
La British Library custodisce la seconda collezione al mondo di documenti antichi dopo la Biblioteca Apostolica Vaticana, un immenso numero di libri moderni, una straordinaria collezione di mappe. Ma non solo. È una casa editrice e – credetemi – è un centro di sviluppo di start-up imprenditoriali, di consulenza per l’innovazione e la protezione dei brevetti. Organizza workshop su come si scrive un business plan e fornisce aiuto per le analisi di mercato. Che c’entra una biblioteca con tutto questo? C’entra. Perché lì c’è la world’s knowledge,  come recita il loro slogan: la conoscenza che il mondo possiede di se stesso e ogni possibilità di comunicare. Secondo l’ultimo bilancio, la BL ha ricevuto dal governo inglese 137.9 milioni di sterline (circa 156 milioni di €), oltre al supporto di privati. Si tratta comunque di un budget tagliato, al punto che di recente sono state prepensionate o licenziate moltissime persone.
Non sparate, per carità
Leggendo una dichiarazione del luglio 2010 di Mauro Guerrini, presidente dell’Associazione Italiana Biblioteche, si apprende che gli «investimenti pubblici a favore delle 46 biblioteche statali negli ultimi 5 anni sono stati drasticamente dimezzati, con un abbassamento del budget da 30 a 17 milioni di euro annui» [fonte] (fermatevi un secondo: 17 milioni per 46 biblioteche). Oggi ho firmato un appello  della stessa AIB «per chiedere un’inversione di rotta che porti maggiore attenzione e maggiori risorse per le biblioteche italiane, prima che sia troppo tardi». Qualche giorno fa, invece, ho letto con autentico sconcerto il resoconto di un’assemblea di pericolosi sovversivi (bibliotecari, studiosi, studenti, scrittori, lettori) davanti alla Biblioteca Nazionale di Roma, circondati da un cordone di poliziotti in tenuta anti-sommossa. Qualche mese fa, ero incappata in un articolo di Tullio Gregory sulla prima pagina del Domenicale del Sole24Ore che lanciava un autentico grido d’allarme per le condizioni disperate della Biblioteca Nazionale di Firenze, sopravvissuta sì all’alluvione, ma di fatto agonizzante.
Ci meritiamo qualcosa di meglio. Noi Italiani, dico. Ci meritiamo un posto decente, riscaldato, con una caffetteria dove mangiare una zuppa, la carta igienica nei bagni, prese per i computer ai tavoli. I nostri incredibili tesori (manoscritti, mappe, incunaboli) si meritano sale ariose in cui essere consultati da persone competenti, non obbligatoriamente ottuagenarie, che sappiano come pagare la zuppa di cui sopra. La mia generazione merita l’opportunità di fare impresa a partire dagli scaffali di una biblioteca e dai suoi corridoi. I miei concittadini meritano di visitare mostre gratuite allestite nelle nostre Biblioteche Nazionali, che sono e devono essere motivo di orgoglio. Perché chiunque, chiunque, quando gli fai vedere un libro miniato, un papiro antico, una delle prime Bibbie di Gutenberg, e gli spieghi in trenta secondi, con semplicità e bene che cosa sta guardando, rimane a bocca aperta. E perché nessuno, nessuno, decide programmaticamente di restare ignorante, almeno rispetto al lavoro che fa, qualsiasi esso sia. È così da sempre, dagli australopitechi a oggi. È la chiave dell’evoluzione e della crescita.
pubblicato da
Anna Pegoretti è nata a Trento nel 1978. Dopo gli studi nel Conservatorio della sua città si è trasferita a Bologna, dove si è laureata in Lettere Moderne con una tesi dantesca la cui pubblicazione è stata promossa dalla Facoltà. Nel 2009 ha conseguito un Dottorato in Studi Italianistici presso l’Università di Pisa. Si occupa principalmente di Dante, della sua ricezione manoscritta, della cultura e letteratura medievale nell’Italia due-trecentesca. Nell’autunno del 2010 è Frances A. Yates Fellow presso il “Warburg Institute” di Londra. Nel biennio 2011-12 è Newton International Fellow presso il “Centre for Dante Studies” dell’Università di Leeds (UK). Si sta specializzando nel racchiudere la vita in una valigia ostentando una qualche disinvoltura. Scrive nel blog di Ultima Sigaretta.

giovedì 27 ottobre 2011

La notte delle biblioteche

[A fronte dei pesanti tagli alle biblioteche e dopo gli avvenimenti dell'11 ottobre, quando un'assemblea convocata nella Biblioteca centrale nazionale di Roma è stata impedita da agenti di polizia in tenuta antisommossa, l'Associazione Italiana Biblioteche, insieme ad altre realtà, ha deciso di promuovere l'appello che viene riportato di seguito.  Potete farlo su questa pagina]

L’Associazione Italiana Biblioteche, il Forum del Libro, l’Associazione Bianchi Bandinelli, Generazione TQ e i Presìdi del libro, con il sostegno di IFLA – International Federation of Library Associations and Institutions, ed EBLIDA – European Bureau of Library, Information and Documentation Associations, promuovono un appello a tutta la società italiana, per chiedere un’inversione di rotta che porti maggiore attenzione e maggiori risorse per le biblioteche italiane, prima che sia troppo tardi.
Le biblioteche sono un servizio essenziale per la vita culturale, sociale e civile del Paese e rappresentano un presidio di democrazia fondato sulla libertà di espressione e sul confronto delle idee.
Le biblioteche costituiscono un’infrastruttura della conoscenza che raccoglie, organizza e rende disponibili i prodotti della creatività e dell’ingegno, fornisce accesso a una pluralità di saperi e di informazioni, agevola l’attività dei ricercatori e degli studiosi, tutela la memoria culturale della nazione, offre a tutti i cittadini occasioni di crescita personale e culturale, favorisce l’acquisizione di competenze che possono essere spese nella vita sociale e lavorativa.
In Germania i frequentatori delle biblioteche superano gli spettatori delle partite del campionato di calcio; negli Stati Uniti l’investimento sulle biblioteche è parte integrante degli interventi governativi per contrastare la crisi economica; in Francia, Gran Bretagna e Spagna le biblioteche nazionali ottengono finanziamenti e dispongono di personale, attrezzature, risorse adeguate a un paese ad economia avanzata.
Mentre in queste nazioni le biblioteche sono considerate servizi indispensabili, da tutelare in quanto bene comune, da promuovere perché grazie ed esse è possibile costruire una coscienza civica fondata sulla centralità della cultura e dell’istruzione, in Italia, per colpa della crisi economica e di una politica culturale miope, le biblioteche sono allo stremo e hanno bisogno del supporto di tutti coloro che hanno a cuore le sorti della cultura.
Moltissime biblioteche (statali, di ente locale, universitarie, scolastiche, di istituti culturali) hanno subito pesanti tagli ai bilanci e al personale, blocchi all’aggiornamento delle raccolte e riduzioni all’orario di apertura, e ciò rende spesso impossibile l’esercizio delle funzioni più elementari, pregiudicando il diritto dei cittadini alla cultura, all’istruzione, alla conoscenza, alla condivisione dei valori su cui si è costruita la nostra storia.
Un paese senza biblioteche efficienti è un paese senza memoria e senza futuro. Per ogni biblioteca che chiude, si restringono gli spazi di democrazia e di libertà. Uno Stato che ha paura di discutere i problemi delle biblioteche e della cultura, riducendo la richiesta di dare vita a un dibattito pubblico sul loro ruolo e sulla loro crisi a un problema di ordine pubblico – come è avvenuto martedì 11 ottobre davanti alla Biblioteca nazionale centrale di Roma, dove cittadini che volevano difendere le biblioteche e valorizzarne la funzione hanno trovato i cancelli sbarrati e sono stati accolti da poliziotti in tenuta antisommossa – è uno Stato che tradisce l’interesse pubblico, che nega a chi ha a cuore le sorti delle biblioteche persino la possibilità di parlarne.
Roma, 22 ottobre 2011

mercoledì 26 ottobre 2011

Nisticò,. La biblioteca, da Tecalibri

Renato Nisticò, La biblioteca, Laterza 2011



Il tema della biblioteca in letteratura; 
esempi di biblioteche letterarie....


 Un luogo comune
 Ai lettori di opere letterarie capita abbastanza spesso di imbattersi in descrizioni di biblioteche e bibliotecari. Si tratta di un tema ricorrente, improntato il più delle volte ai più triti luoghi comuni.... CONTINUA QUI


sabato 15 ottobre 2011

Campagna di avvicinamento alle biblioteche

quaderno di un bibliotecario

Dal blog "Quaderno di un bibliotecario": http://letture.wordpress.com/

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La biblioteca dentro i libri

 


I libri stanno nelle biblioteche… ma le biblioteche stanno nei libri? 
Prendo spunto da questi suggerimenti della biblioteca di Montebelluna e provo ad arricchire le loro proposte: http://www.bibliotecamontebelluna.it/download/bibliografie/2010_10_biblioteche_nella_letteratura.pdf
  • Balzac e la piccola Sarta cinese
  • Come un romanzo di Daniel Pennac
  • Gargantua e Pantagruele di Francois Rabelais
  • Gatti e scimmie di Arnaldo Colasanti
  • Il nome della rosa di Umberto Eco
  • Il lavoro culturale di Luciano Bianciardi
  • Il sottolineatore solitario di Marco Bosonetto
  • La battaglia dei libri di Jonathan Swift
  • La biblioteca di Renato Nisticò
  • La biblioteca di Babele di Jorge
  • La biblioteca scomparsa di Luciano Canfora
  • La biblioteca sul cammello di Masha Hamilton
  • La casa dei libri di Richard Brautigan
  • La lettrice di Annie Francois
  • La lettrice di romanzi d’amore di Pearl Abraham
  • L’archivista di Martha Cooley
  • La sovrana lettrice di Alan Bennett
  • Le bibliotecarie di Alessandria di Alessandra Lavagnino
  • L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafón
  • Possessione: una storia romantica di Antonia S. Byatt
  • Silenzio! di Jean-Marie Gourio
  • Un generale in biblioteca di Italo Calvino
  • C’è un cadavere in biblioteca di Agtha Christie
  • Sei biblioteche di Zoran Zivkovic
  • La biblioteca dei libri proibiti di John Hrading
  • La biblioteca dei miei sogni Highmore Julie
  • Delitti in biblioteca. Tredici misteri tra gli scaffali della Labronica di AAVV
  • Il Signor Leo Valnies, Bibliotecario di Pasqua Vincenzo
  • La bibliotecaria. La vera storia di Marta la tarma di Ciccarone Claudio
  • La biblioteca sul cammello di Hamilton Masha
  • Il Bibliotecario. La posta in gioco è la casa bianca di Beinhart Larry
  • La finestra della biblioteca di Margaret Oliphant

sabato 16 luglio 2011

Una biblioteca senza libri?

(da http://bibliogarlasco.blogspot.com/)


"Shhh ... silenzio! L'atmosfera è quella delle biblioteche di ogni paese. Grandi tavoli, luci soffuse, gli studenti impegnati nella lettura. Solo che qui, nella biblioteca della Drexel University, l'università privata di Filadelfia che il Times ha messo tra le 200 migliori del mondo, non c'è l'ombra di un volume rilegato. Avete capito bene. Drexel è la prima università al mondo book-free: senza libri. Per carità, la collezione della storica università, fondata nel 1891, conta migliaia di volumi. Solo che nella nuova sede, quella Library Learning Terrace progettata dall'architetto Scott Erdy come spazio flessibile - arredamento mobile e pareti come lavagne bianche su cui prendere appunti - non ci sono scaffali, cataloghi né bibliotecari. Solo computer che offrono accesso immediato a un archivio di 170 milioni di prodotti culturali digitalizzati, e-book, riviste, film e file musicali. L'intero catalogo universitario di Filadelfia immagazzinato su un server e scaricabile con un clic. 'Qui si ospita conoscenza' ha affermato il direttore della nuova biblioteca, Danuata Mitecki.
Sarà. Ma una biblioteca può ancora chiamarsi così? A sollevare la questione è il settimanale Time con un articolo rilanciato proprio sul sito della Drexel che tra favorevoli e contrari sta già scaldando gli animi. 'La biblioteca è da sempre un luogo di ispirazione' ha commentato un autore di bestseller come Michael Connelly, rammentando come la sua stessa carriera sia nata dal piacere fisico di maneggiare libri: 'Dubito che in una biblioteca senza volumi accada la stessa cosa'.
Già l'anno scorso un'università famosa come Stanford ha ridimensionato la biblioteca della sua facoltà di ingegneria, tagliando l'85 per cento dei titoli cartacei. Ne ha eliminati 50 mila sostituendoli con gli stessi volumi digitalizzati. L'Università di San Antonio in Texas, permette di accedere online a 450 mila titoli. E perfino una piccola biblioteca come quella di Newport Beach, California, ha trasformato la sua collezione in 35 mila file. Salvo potersi ancora procurare un libro "vero", chiamando attraverso un chiosco elettronico le altre biblioteche cittadine. Che provvedono a far recapitarea casa il volume richiesto. Una rivoluzione? Il fatto è che la digitalizzazione delle biblioteche non dipende solo dalla voglia di innovazione tecnologica delle università. Piuttosto del sovraffolla mento. Prendete Stanford: prima della digitalizzazione comprava 273 libri al giorno, che finivano in un magazzino fuori città. Come accade alla Duke di Durham, che ha costruito un apposito magazzino con scaffali alti 10 metri dove conserva 15 milioni di volumi. Mentre il deposito di Harvard è a 60 chilometri dal campus. I libri, insomma, non sono obsoleti: sono fisicamente invadenti. E quelli collezionati dalle università sono così tanti da ricoprire, potenzialmente, interi stati. Il dibattito è anche architettonico. E se un purista come Steven Holl sostiene che il carattere dei libri è un elemento architettonico insostituibile in uno spazio di studio, l'olandese Rem Khoolhaas, progettista della biblioteca di Seattle, sembra essere stato ispirato proprio dall'idea di un mondo senza libri. Una spirale, cuore dell'edificio, raccoglie fino a un milione di volumi. Ma si contrappone all'immenso piano terra interamente multimediale. «Il libro non è morto» dice, Robert Darnton, direttore della biblioteca di Harvard e autore di Il futuro del libro. «Sta vivendo una nuova, più democratica vita». Il sogno della biblioteca di Alessandria, insomma, è destinato a proseguire. Magari in quella superbiblioteca universale digitalizzata da Google. O nelle applicazioni che - dalla British Library alla New York Public Library - portano secoli di cultura nell'iPhone. Il futuro del libro, insomma, è ancora tutto da scrivere: magari al computer, nel silenzio di una biblioteca senza volumi come quella di Filadelfia." (da Anna Lombardi, Benvenuti a Filadelfia, nella biblioteca senza libri, "La Repubblica", 13/07/'11)

venerdì 13 maggio 2011

Torre di libri

La Babele di Buenos Aires è una torre da 30mila libri

Una "torre di Babele" alta 25 metri, e composta da oltre 30mila libri di differenti lingue, a rievocare appunto il racconto biblico. E' l'installazione che l'artista concettuale Marta Minujin ha allestito a Buenos Aires, nell'anno in cui la capitale argentina è stata nominata capitale mondiale del libro dall'Unesco. Le pubblicazioni che compongono l'opera sono state donate da biblioteche, lettori e da oltre 50 delle ambasciate presenti nella metropoli

giovedì 28 aprile 2011

Cataloghi nazionali

Per operare una ricerca di titoli su moltissime (al momento 309) biblioteche italiane, una specie di meta-catalogo, questo  è il link:

http://mai.cilea.it/

giovedì 31 marzo 2011

domenica 6 marzo 2011

Di mestiere, leggo- Simonetta Bitasi

DI LAVORO LEGGO. L'esperienza di favorire l'incontro tra libri e ragazzi lettori.


Di lavoro leggo. Spesso faccio fatica a dirlo.
Sento quasi di dovermi giustificare, a volte di dover scontare un privilegio unico o almeno di dover spiegare come da una lunga esperienza in una libreria e dall’affettuosa corrispondenza sin da piccola con le biblioteche io sia arrivata ad essere un lettore ambulante, a leggere per poi girare a raccontare le mie letture. Sulla mia strana attività mi ha dato recentemente un po’ di conforto e coraggio un articolo della scrittrice Zadie Smith che su Internazionale dice: “Leggere, se fatto come si deve, è difficile tanto quanto scrivere... Chi equipara la lettura all’esperienza essenzialmente passiva di guardare la tv, vuole solo svilire la lettura e i lettori. La similitudine più calzante è con il musicista dilettante che sistema lo spartito sul leggio e si prepara a suonare. Deve usare le competenze acquisite con fatica per suonare quel brano musicale. Quanto maggiori sono le sue competenze, tanto più grande è il dono che fa al compositore e quello che il compositore fa a lui. E’ una “nozione” di lettura che ormai sentiamo proporre di rado. Eppure quando fai esercizio di lettura, quando passi del tempo con un libro, la vecchia morale dello sforzo e del compenso è innegabile. Leggere è un’abilità e un’arte. I lettori dovrebbero andare fieri delle loro competenze e non vergognarsi di coltivarle, non fosse altro perché gli scrittori hanno bisogno di loro... Anche il lettore deve avere talento”. Confortante, vero?
Riguardo al leggere vi segnalo una cosa curiosa: in un paese in cui si legge sempre meno e i lettori sono pochi e anche maltrattati il panorama editoriale ci sommerge ultimamente di titoli sulla lettura e i lettori. Non mi soffermerò sui peggiori, la maggior parte, ma su un piccolo gioiello che dice con poche precise parole cosa vuol dire leggere e perché noi lettori cerchiamo di contagiare tutti quelli che incontriamo: ).“Non c’è dubbio che quando leggiamo le parole di un testo le riempiamo della nostra esperienza. Nel momento in cui leggo, è vero, sono come sospeso in un altrove tessuto di ombre e di fantasmi. Leggendo, calati nella logosfera del testo, ci si può persino sentire, a occhi aperti, immersi in un sogno più vero e più vivo della realtà circostante. E tuttavia questo spazio sono io a costruirlo, per animarlo lo reinvento di continuo partecipando del suo movimento nello specchio attivo dell’immaginazione, come invece non può avvenire con le immagini dello schermo televisivo, implacabilmente imposte a un occhio passivo”. (Ezio Raimondi, Un’etica del lettore) Questo per definire il concetto di lettura e anche per darci un minimo di importanza. Leggere certo non ci rende migliori, ma con un gesto apparentemente semplice mette in moto meccanismi ricchi e complessi. Ma una volta che si è entrati, come dire, nella magia della lettura non siamo ancora al traguardo. Perché il problema spesso è cosa leggere e come scegliere tra una produzione sterminata e spesso ingannevolmente pubblicizzata. Per chi si occupa di promozione o meglio contagio della lettura il problema è: “come faccio a sapere che c’è un libro che vale la pena di leggere e poi di far leggere?” I lettori sono esseri fiduciosi e invece cercano di scoraggiarli su tutti i fronti. Ed è ancora peggio quando le logiche puramente commerciali colpiscono la narrativa per l’infanzia. Vediamo come la strada della scelta sia sempre più un percorso faticoso, che spesso induce il lettore meno convinto ad abbandonarla:

1) Le librerie indipendenti con librai e libraie informati, appassionati, competenti stanno ormai scomparendo a favore dei supermercati del libro, dove oltre alla mancanza di consigli, manca anche un’onesta e completa scelta tra la produzione libraria, che penalizza in particolare medi e piccoli editori.

2) Anche nelle biblioteche, oltre a una scelta ampia e completa, spesso è anche difficile trovare indicazioni e informazioni perché ai bibliotecari è praticamente impedito di leggere. Troppo oberati di impegni burocratici e di gestione e sempre gravati da sott’organico, non riescono certo, se non alla sera prima di addormentarsi, a leggere qualche pagina. Nelle biblioteche spagnole (alcune registrano un tesseramento del 70% della popolazione), sono distinti i vari ruoli e ci sono bibliotecari incaricati di leggere.

3) L’informazione dei giornali sui libri è fortemente non attendibile, spesso vittima di giochi di potere e favori reciproci tra operatori editoriali. E comunque molte recensioni non sono frutto, come sarebbe naturale, di una lettura.

4) A un livello superiore, parlando cioè di critica letteraria, non si trova molto di meglio. Totale indifferenza o parole altisonanti e illeggibili non aiutano a orientarsi nella narrativa contemporanea. Più che morta, come dicono molti, la critica letteraria italiana mi sembra in un eterno letargo.

5) Per i cosiddetti operatori poi un utile strumento potrebbe essere quello degli uffici stampa delle case editrici, che naturalmente devono vendere il loro prodotto, che spesso però non conoscono. Perché non leggono. Così anche le campagne stampa sono ingannevoli e tendono a rendere la diffusione dell’informazione libraria stereotipata.

6) La mancanza o la poca qualità della scelta, in particolare nelle biblioteche, è causata da improvvide scelte amministrative, che preferiscono spendere magari su un grande e unico evento che sull’acquisto dei libri. O che pongono come unico criterio di scelta del fornitore lo sconto praticato. In questo modo si offende l’intelligenza dei lettori o dei futuri lettori, facendo loro mancare la materia prima. Ma si sa una biblioteca che funziona grazie a un buona e costante fornitura di libri e al lavoro e alla competenza di personale qualificato non è una vetrina sufficientemente eclatante per la campagna politica.

Cosa rimane? Incontrarsi tra lettori, condividere le letture. Frequentare e far conoscere ai bambini librerie e biblioteche. Per i lettori adulti poi uno strumento di incontro e scambio ancora abbastanza attendibile è internet. Per ora blog, forum, siti sulla passione per leggere ribaltano i punti precedenti e sono un’oasi per chi ama leggere e far leggere.
Un modo molto più limitato, ma che si sta diffondendo sempre più è il fenomeno dei gruppi di lettura. Per molti la lettura è un’attività solitaria e anch’io non nego che la partita vera si gioca tra il lettore e il libro. Questo rimane il nucleo essenziale e indispensabile della magia del leggere. Quando ho letto un bel libro il cerchio idealmente si chiude e sia io che ho letto, in qualche modo riscrivendo il libro, sia lo scrittore abbiamo svolto appieno il nostro ruolo. Però è innegabile che quando sono rimasto colpito da un libro mi viene voglia di comunicarlo senza forse arrivare all’affermazione estrema di Peter Bichsel: “E so cosa mi porterei dietro su un’isola completamente deserta, dove si è totalmente soli e senza nessuna possibilità di tornare indietro... in realtà non mi porterei dietro nessun libro, perché senza una comunicazione quotidiana cesserebbe sia la lettura che la scrittura. Ho bisogno degli altri almeno per far sapere che ho letto.” (Il lettore, il narrare). Allo scrittore svizzero i gruppi di lettura sarebbero probabilmente piaciuti. Lo loro funzione è quella di condividere una passione ma anche di scambiarsi informazioni e far girare sempre più libri. Un paio di anni fa ho partecipato al primo raduno italiano dei gruppi di lettura ad Arco di Trento dove erano ospiti anche alcuni bibliotecari spagnoli (sempre la Spagna...). Sono venuta così a conoscenza di gruppi per bambini e ragazzi e così ho proposto anche a Mantova di provare a crearne uno in biblioteca. Capitan Uncino esiste da due anni e si è clonato: i ragazzi infatti si sono divisi in junior (11-13 anni) e senior (13-16). Lavorano come consulenti agli acquisti della biblioteca, hanno compilato una bibliografia con le loro letture preferite, stanno realizzando un giornalino per meglio consigliare i loro coetanei. Come gruppo sono entusiasti, autonomi, curiosi e più facilmente gestibili degli adulti. Non assomigliano al ritratto che si fa degli adolescenti allergici alla lettura e ai libri. E sono sicura che non sono un caso a parte, tutt’altro.
Per estendere il contagio della lettura quindi ...basta leggere. Però devono lasciarcelo fare predisponendo luoghi della lettura piacevoli e invitanti, dove trovare magari professionisti che ci possono consigliare; con informazioni attendibili per trovare i “nostri” libri; creando una diffusa cultura del libro come oggetto quotidiano e “naturale” e non come materia di studio e mezzo di punizione. Nasciamo potenziali lettori. Se lo diventeremo sarà grazie all’incontro con il libro giusto. Ecco, io voglio fare questo: favorire l’incontro tra i libri e i loro lettori che li stanno, magari inconsciamente, cercando.

Vai il suo blog:  LETTORE AMBULANTE,  e vedi le bibliografie!

sabato 5 marzo 2011

Antonella Agnoli, una bibliotecaria

Antonella Agnoli Gli spazi dell'informazione nella biblioteca per ragazzi
(da Bibliotime )
Per immaginare cosa significa un servizio reference per ragazzi possiamo partire da un dialogo tra il bibliotecario e un piccolo utente.
Bibliotecario: Hai trovato quello che stai cercando?
Bambino: Sì... avete dei libri sull'arte?
Bibliotecario: Certo, abbiamo molti libri sull'arte. Arte di quale periodo?
Bambino: Come?
Bibliotecario: Stai studiando arte italiana, arte degli antichi greci, o cosa?
Bambino: No, i Greci li abbiamo studiati l'anno scorso.
Bibliotecario: Stai facendo una ricerca per la scuola o ti interessi d'arte perché piace a te?
Bambino: No, no è per la scuola, a me l'arte non interessa.
Bibliotecario: Che classe fai?
Bambino: La quarta.
Bibliotecario: State studiando qualche paese in particolare?
Bambino: Sì, la Cina.
Bibliotecario: E cerchi qualcosa sull'arte cinese?
Bambino: No, quello lo faremo dopo Natale.
Bibliotecario: Ti servono dei libri su pittori famosi, dove ci sono dei quadri come la Gioconda?
Bambino: La mia mamma dice che non si deve dire "gioconda" alla maestra.
Bibliotecario: Vuoi un libro su come imparare a dipingere?
Bambino: Mi serve un libro sull'inverno.
Bibliotecario: Un libro d'arte con delle scene invernali? Gente che pattina, cose così?
Bambino: Sì, basta che dicano come fare i fiocchi di neve.
Bibliotecario: Ti serve un libro che dica come fare i fiocchi di neve? Ritagliandoli dalla carta?
Bambino: Proprio così. Dobbiamo decorare la bacheca con dei fiocchi di neve e la maestra ci ha detto che un libro d'arte sarebbe utile.
Bibliotecario: (Commenti irriferibili sulla maestra).
Questo dialogo è immaginario [1], ma in realtà si svolge tutti i giorni in tutte le nostre biblioteche e non sempre l'utente spaesato frequenta la quarta elementare. Direi anzi che molti adolescenti e forse ancora di più molti adulti vengono al servizio reference con un atteggiamento simile. Il primo principio che il servizio per i ragazzi dovrebbe quindi seguire è quello di NON essere separato dal reference per adulti. Questa mescolanza è non solo utile, ma necessaria per varie ragioni:
  1. Innanzi tutto, gli utenti che non hanno familiarità con la biblioteca sono tutti nella posizione del nostro bambino di quarta elementare. A qualsiasi età, chi non è mai entrato in una biblioteca, o ci è venuto soltanto per leggere i quotidiani senza mai toccare un libro, si trova di fronte agli scaffali come a un mondo misterioso. Sa che esistono milioni, miliardi di informazioni ma è questa stessa abbondanza ad intimidirlo. Quasi mai è capace di tradurre un problema in una richiesta di informazione strutturata. L'adulto che vuole "qualcosa sui coccodrilli" potrebbe essere interessato a un viaggio in Florida come ad acquistare una borsetta per la moglie, potrebbe cercare informazioni sui safari come invece essere un ecologista preoccupato dell'estinzione degli animali selvaggi. L'intervista del bibliotecario all'utente in difficoltà è un momento fondamentale del rapporto tra cittadini e biblioteca, un momento direi decisivo nella valutazione dell'utente sulla qualità dei servizi offerti. A questo momento noi non dedichiamo quasi nessuna formazione e questo è a mio parere un gravissimo errore.
  2. In secondo luogo, se le cifre sull'analfabetismo funzionale come piaga della società italiana sono vere, circa un terzo degli adulti sono, rispetto alla biblioteca, in una condizione peggiore di quella del nostro bambino di quarta elementare. Il nostro giovane utente, infatti, ha dalla sua non solo la faccia tosta dei bambini, la loro completa mancanza di inibizioni, ma anche la sicurezza che gli viene dal fatto che a scuola, implicitamente o esplicitamente gli hanno detto: "Vai in biblioteca". L'adulto al contrario, ammesso che conosca la biblioteca e che ne abbia una a portata di mano, considera in qualche modo vergognoso chiedere qualcosa a un "esperto" e teme soprattutto di rivelare la propria condizione di ignoranza, di difficoltà a esprimersi in italiano, di estraneità alla biblioteca. Mentre il giovane utente chiederà allegramente un libro d'arte con l'obiettivo di imparare a ritagliare le ghirlande di carta, l'adulto penserà dieci volte a una domanda molto precisa e specifica e si deciderà a porla solo se non può assolutamente farne a meno. Quasi sempre sarà una domanda del tipo: "Dove sono le guide della Florida?" piuttosto che una richiesta di aiuto per trovare una enciclopedia sui grandi rettili o un CD-ROM proprio sui coccodrilli, perché di questi prodotti facilmente disponibili in realtà ignora l'esistenza.
  3. Bambini e adulti dello stesso livello culturale hanno abilità differenti e approcci differenti all'informazione. Se si chiede a un adulto in difficoltà se vuole un CD-ROM è probabile che non sappia cosa sia ed è certo che non saprà come usarlo. Se invece lo si offre a un bambino, quasi sicuramente saprà come cavarsela, non fosse altro perché i genitori gli hanno comprato una playstation. Purtroppo i nuovi media creano l'illusione non solo di possedere la conoscenza ma anche di saperla organizzare; ma è solo un'impressione creata dalla facilità d'uso. Acquisire ed elaborare le conoscenze è un'altra cosa. Il ruolo del bibliotecario mediatore, educatore, diventa quindi indispensabile, non solo per trovare l'informazione, ma per elaborarla, trasformarla, trattarla e materializzarla secondo i bisogni dell'utente. Il compito di chi lavorerà con i ragazzi sarà quello di aiutarli ad utilizzare al meglio le risorse dei vari documenti. Anche per questo molte biblioteche non separano i materiali tra adulti e ragazzi: in Francia musica, cinema, molti CD-Rom sono insieme. D'altra parte, un adulto può preferire il rassicurante formato di una enciclopedia, oppure la visione di una videocassetta, cioè l'uso di strumenti che gli sono familiari. Mescolare bambini e adulti può quindi creare un ambiente informale in cui gli utenti bisognosi di informazioni si spiano, o magari si aiutano, a vicenda. E' una strategia che può servire a creare un ponte tra i ragazzi e gli adulti ma anche fra i diversi supporti informativi.
In generale, il problema del reference non può essere separato da quello della biblioteca come luogo di mediazione. Mediazione tra pubblici diversi, competenze diverse, bisogni diversi. L'idea guida deve essere quella di una biblioteca flessibile, di una biblioteca che sia luogo di incontro di socializzazione, di una biblioteca "amichevole".
Principi che si sono tradotti nella riorganizzazione della biblioteca per poli tematici all'interno delle quali si trovano sia materiali per ragazzi sia materiali per adulti, magari distinti da un bollino di colore diverso. In queste biblioteche vi è una sezione separata per i bambini piccoli, mentre tutti gli altri documenti stanno insieme. Modello già presente in molte piccole biblioteche, che trovano non economico e poco efficiente duplicare documenti e competenze, che si sta diffondendo anche in grandi strutture bibliotecarie come nella biblioteca di Montpellier nel sud della Francia.
Non dobbiamo dimenticarci, infatti, che i ragazzi un po' più grandi, o semplicemente un po' più maturi della loro età, detestano restare ghettizzati in materiali "infantili" mentre accade che adulti un po' in difficoltà con materiali ostici o semplicemente specialistici traggano piacere e vantaggio dall'iniziare la loro ricerca con materiali "per ragazzi".
In una biblioteca dove i pubblici si mescolano, dove non esistono barriere i servizi di reference possono esercitare un ruolo strategico per questo è bene che, se il reference desk deve esistere, che sia centrale e ben visibile. Spesso le hall delle biblioteche hanno un servizio di orientamento e il bancone del prestito mentre l'informazione bibliografica sta invece molto più in là spesso nascosta. Penso che i servizi di reference debbano essere centrali e ben visibili, che fossero un punto di attrazione "naturale" per tutti gli utenti che devono potersene servire senza difficoltà, direi senza pensarci due volte.
Questo significa, naturalmente, un servizio labor-intensive, un servizio con personale molto qualificato pronto a soddisfare bisogni cognitivi ma a volte anche affettivi, dove le richieste degli utenti non vengono spicciate in fretta come al McDonald's ma piuttosto trattate con la cura che richiede la preparazione di un grande bollito misto in un ristorante di prima categoria.
Il bibliotecario del reference deve avere competenze sui materiali disponibili e sulle strategie di ricerca ma anche abilità nella ricerca di siti Internet. Da questo punto di vista penso sia più pratico assumere dei giovani che conoscono a memoria 5.000 siti piuttosto che sottoporci noi, faticosamente, a un apprendistato sulle differenze tra Yahoo e Google. La biblioteca pubblica di San Francisco, per esempio, ha già iniziato a reclutare personale specificamente addetto a rispondere a domande del tipo: "Come trovo un indirizzo e-mail in Cina?"
Un altro punto chiave è il principio che la biblioteca non può essere autosufficiente, ammesso che lo sia mai stata. Oggi, reference significa anche indicare indirizzi e siti Internet di associazioni, enti, servizi comunali o regionali che potrebbero essere utili ai nostri utenti. Possiamo avere molti libri e molti materiali elettronici sulla difesa dell'ambiente, ma parte della nostra missione è anche il saper indirizzare gli utenti a Lega Ambiente, al WWF oppure a Greenpeace.
Infine: quanto tempo dedicare agli utenti? Fornire o no informazioni per telefono? Mettere in piedi un servizio di risposta per posta elettronica o no? Tutte queste sono scelte che solo la singola biblioteca può decidere di fare, analizzando il suo pubblico, reale e potenziale. Dobbiamo creare nuovi servizi anche quando apparentemente non c'è domanda perché è l'offerta a creare la sua domanda, o meglio a fare emergere domande latenti, bisogni nascosti ma reali. Gli utenti ragazzi sono esigenti, sanno utilizzare tutte le tecnologie con grande abilità, comunicano attraverso i messaggi telefonici, hanno una vera passione per la posta elettronica. L'esclusione di queste forme di comunicazione in biblioteca potrebbe diventare motivo di allontanamento di molti ragazzi soprattutto quelli che si sono rivolti alla biblioteca per un bisogno scolastico soddisfatto il quale non trovano ragione per continuarlo. Il nostro compito è ricordarci che la biblioteca è un luogo deputato alla riduzione delle difficoltà sociali, un frammento di mondo ordinato e rassicurante in un pianeta sempre più disordinato, aggressivo e minaccioso e il reference può essere il servizio chiave in questa opera di "rassicurazione" che dobbiamo svolgere ogni giorno.

Antonella Agnoli, e-mail: antonella.agnoli@iol.it

Il futuro delle piccole librerie

 
Il futuro delle piccole librerie non è facile a prevedersi. Tuttavia sembra che chi sia in grado di offrire uno spazio accogliente di condivisione e incontro, chi sappia radicarsi nella società e nel territorio, diventandone un punto di riferimento, e  accompagni l’attività con un marketing originale, sopravviva dignitosamente a scapito delle grandi catene. 

martedì 22 febbraio 2011

AFORISMA

"Le paradis, à n'en pas douter, n'est qu'une immense bibliothèque" (Gaston Bachelard)

sabato 29 gennaio 2011

La biblioteca sociale

"«E poi la vecchia biblioteca basata solo sui libri», dice Romina Gutierrez, responsabile dello sviluppo tecnologico della "public library" di Princeton, «era un luogo passivo. Oggi le biblioteche devono essere luoghi che vivono e respirano, che cambiano ogni giorno». Luoghi in cui la creatività degli individui può prendere pieghe mai pensate prima.
Succede, ad esempio a Rangeview, in Colorado, dove, alcuni dei bibliotecari più innovativi d'America, dei veri visionari, hanno aperto perfino una scuola di giardinaggio che svela a chi la frequenta l'arte del landscaping, e un laboratorio musicale nel quale gruppi di giovani di talento producono opere rock basate sulle storie di Harry Potter. Ma il vero interesse dei politici è quello di fare delle biblioteche un polmone per la gestione di problemi sociali che una nazione con strutture di assistenza e accoglienza molto limitate ha pochi modi per affrontare..."


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