TRATTO DA:
http://www.ultimasigaretta.com/ (officina letteraria, laboratorio di idee)
Nella vita faccio ricerca. Fondamentalmente mi
occupo di letteratura e di storia. Il mio laboratorio è la biblioteca e
ve lo voglio raccontare.
Moltissime delle biblioteche universitarie inglesi sono a scaffale
aperto (vai a prenderti i libri da solo, per intenderci) e sono
organizzate in modo tematico (storia, letteratura, teologia, scienze,
legge ecc., con un’infinita serie di suddivisioni). Questo significa
innanzitutto che, se partirete cercando un libro o un articolo,
tornerete indietro con almeno tre, ovvero: avrete scoperto l’esistenza
di due titoli che fino a quel momento ignoravate o non avevate preso in
considerazione, e che hanno fortissime probabilità di essere molto più
utili del primo, quello per cui vi siete mossi.
È
anche il motivo per cui, in posti come questi, troverete sempre gente
seduta per terra sotto montagne di scaffalature alle ore più
improbabili. Mai vista una di queste biblioteche chiudere prima delle
otto di sera; al
Warburg Institute, da borsista, ho
avuto la ventura di aggirarmi per i corridoi a mezzanotte, e non ero mai
sola. Lì ho imparato una cosa fondamentale: non c’è catalogo, per
quanto ben fatto, che possa sostituire i piedi.
L’impulso che un simile sistema dà alla ricerca è incalcolabile (e si vedano le parole di
Claudio Giunta su Le parole e le cose).
Lo sa chi lo ha provato: la quantità di cose che passano sotto gli
occhi e modificano il ragionamento si moltiplica in modo esponenziale.
Nelle biblioteche italiane, spesso ottime per patrimonio, si è per lo
più costretti a richiedere i volumi (solitamente un numero ridotto)
compilando una scheda, aspettare il momento della distribuzione (tempi
di attesa: dai 5 minuti alle 5 ore), capire per quanto lo si può tenere,
a quali restrizioni è soggetto il fondo cui appartiene, se si possono
fare fotocopie. Spesso va tutto bene, ma vi assicuro che si può
aspettare per due ore un libro che non arriverà mai, perché nessuno sa
che fine abbia fatto (si narra persino che a Firenze diano per
alluvionati testi post-alluvione). E comunque, niente piedi.
Un’altra sensibile differenza, forse ancora più importante, sta nel
fatto che la biblioteca centrale (che talvolta è l’unica, tranne
strutture di servizio per studenti) di un’università anglosassone
contiene squadernati tutti i libri a sua disposizione di tutte le
discipline. La sezione di storia non è in un altro edificio a due
chilometri di distanza. La teologia non è confinata nello scantinato di
filosofia e nemmeno all’istituto di scienze religiose finanziato dalla
Curia. No. sta al piano di sopra. E i testi di astronomia non devo
andare a prendermeli alla Facoltà di Fisica sotto lo sguardo attonito
degli astanti (non è un esempio assurdo: a me è capitato). No. Sono lì.
La British Library
Le biblioteche, naturalmente, non sono solo universitarie: ben prima
ci sono quelle pubbliche, di quartiere, comunali e nazionali. Esse, si
sa, costano, soprattutto quelle specializzate o che ospitano collezioni
antiche. Non è semplice spiegare al contribuente medio perché, in tempi
tanto tribolati come quelli attuali, dovrebbe finanziare l’acquisto di
libri che solo pochi pazzi leggeranno, pagando pure riscaldamento e luce
per lunghi orari di apertura. Ma se volete capire cosa può essere
davvero una grande biblioteca e cosa può rappresentare per un intero
paese, nella vostra prossima gita a Londra fate un salto alla
British Library. Fondata nel 1973, essa è l’erede del patrimonio precedentemente conservato al
British Museum.
I primi nuclei della collezione risalgono al ’700, con le donazioni di
alcuni fondi e della libreria di Giorgio III, oggi stoccata in un enorme
cubo di vetro al centro della sede di St Pancras. Intorno a quel cubo
si diramano i piani e le passerelle di un edificio funzionalissimo e,
almeno dentro, splendido (l’esterno è stato paragonato dal Principe
Carlo a un forno crematorio…pazienza). Alla base si trovano la
caffetteria (ordinate una zuppa e l’ottimo muffin, e mangiateveli
ammirando i libri antichi di Re Giorgio) e una serie di divanetti sempre
affollati di persone che lavorano con i loro portatili.
La British Library custodisce la seconda collezione al mondo di documenti antichi dopo la
Biblioteca Apostolica Vaticana,
un immenso numero di libri moderni, una straordinaria collezione di
mappe. Ma non solo. È una casa editrice e – credetemi – è un centro di
sviluppo di start-up imprenditoriali, di consulenza per l’innovazione e
la protezione dei brevetti. Organizza workshop su come si scrive un
business plan e fornisce aiuto per le analisi di mercato. Che c’entra
una biblioteca con tutto questo? C’entra. Perché lì c’è la
world’s knowledge, come recita il loro slogan: la conoscenza che il mondo possiede di se stesso e ogni possibilità di comunicare. Secondo
l’ultimo bilancio,
la BL ha ricevuto dal governo inglese 137.9 milioni di sterline (circa
156 milioni di €), oltre al supporto di privati. Si tratta comunque di
un budget tagliato, al punto che di recente sono state prepensionate o
licenziate moltissime persone.
Non sparate, per carità
Leggendo una dichiarazione del luglio 2010 di Mauro Guerrini,
presidente dell’Associazione Italiana Biblioteche, si apprende che gli
«investimenti pubblici a favore delle 46 biblioteche statali negli
ultimi 5 anni sono stati drasticamente dimezzati, con un abbassamento
del budget da 30 a 17 milioni di euro annui» [
fonte] (fermatevi un secondo: 17 milioni per 46 biblioteche). Oggi ho firmato
un appello
della stessa AIB «per chiedere un’inversione di rotta che porti
maggiore attenzione e maggiori risorse per le biblioteche italiane,
prima che sia troppo tardi». Qualche giorno fa, invece, ho letto con
autentico sconcerto
il resoconto di un’assemblea di
pericolosi sovversivi
(bibliotecari, studiosi, studenti, scrittori, lettori) davanti alla
Biblioteca Nazionale di Roma, circondati da un cordone di poliziotti in
tenuta anti-sommossa. Qualche mese fa, ero incappata in un articolo di
Tullio Gregory sulla prima pagina del
Domenicale del Sole24Ore
che lanciava un autentico grido d’allarme per le condizioni disperate
della Biblioteca Nazionale di Firenze, sopravvissuta sì all’alluvione,
ma di fatto agonizzante.
Ci meritiamo qualcosa di meglio. Noi Italiani, dico. Ci meritiamo un
posto decente, riscaldato, con una caffetteria dove mangiare una zuppa,
la carta igienica nei bagni, prese per i computer ai tavoli. I nostri
incredibili tesori (manoscritti, mappe, incunaboli) si meritano sale
ariose in cui essere consultati da persone competenti, non
obbligatoriamente ottuagenarie, che sappiano come pagare la zuppa di cui
sopra. La mia generazione merita l’opportunità di fare impresa a
partire dagli scaffali di una biblioteca e dai suoi corridoi. I miei
concittadini meritano di visitare mostre gratuite allestite nelle nostre
Biblioteche Nazionali, che sono e devono essere motivo di orgoglio.
Perché chiunque, chiunque, quando gli fai vedere un libro miniato, un
papiro antico, una delle prime Bibbie di Gutenberg, e gli spieghi in
trenta secondi, con semplicità e bene che cosa sta guardando, rimane a
bocca aperta. E perché nessuno, nessuno, decide programmaticamente di
restare ignorante, almeno rispetto al lavoro che fa, qualsiasi esso sia.
È così da sempre, dagli australopitechi a oggi. È la chiave
dell’evoluzione e della crescita.
Anna Pegoretti è nata a Trento nel 1978. Dopo gli studi nel
Conservatorio della sua città si è trasferita a Bologna, dove si è
laureata in Lettere Moderne con una tesi dantesca la cui pubblicazione è
stata promossa dalla Facoltà.
Nel 2009 ha conseguito un Dottorato in Studi Italianistici presso
l’Università di Pisa. Si occupa principalmente di Dante, della sua
ricezione manoscritta, della cultura e letteratura medievale nell’Italia
due-trecentesca.
Nell’autunno del 2010 è Frances A. Yates Fellow presso il “Warburg
Institute” di Londra. Nel biennio 2011-12 è Newton International Fellow
presso il “Centre for Dante Studies” dell’Università di Leeds (UK).
Si sta specializzando nel racchiudere la vita in una valigia ostentando
una qualche disinvoltura.
Scrive nel blog di Ultima Sigaretta.