giovedì 17 novembre 2011

La situazione delle biblioteche italiane non è buona

Tratto da:    http://www.finzionimagazine.it/

biblioteche
Qualche settimana fa vi abbiamo fatto sognare presentandovi la nuova biblioteca di Stoccarda, ma purtroppo non dappertutto le cose vanno così bene, soprattutto per quanto riguarda il nostro Paese. 
Le ultime considerazioni (ovviamente in senso cronologico) su questo tema vengono da Anna Pegoretti, giovane studiosa di Dante presso l'Università di Leeds (UK) che sul blog Ultima sigaretta ha pubblicato una  riflessione sull'attuale funzione delle biblioteche (sia universitarie che pubbliche, di quartiere, comunali e nazionali) e sul degrado di quelle italiane. Il quadro che ne esce non è per niente confortante: sul patrimonio non si discute, ok, ma sulla sua amministrazione il sistema fa acqua da tutte la parti. I problemi più gravi, è inutile che ve lo dica, sono causati dai continui tagli agli investimenti pubblici con conseguente scarsità di mezzi per l'acquisto di nuovi libri, la cura di quelli posseduti e la gestione degli edifici che li ospitano. Ma i limiti non si fermano qui, ahimè. Anche l'organizzazione logistica delle biblioteche e le modalità di prestito appartengono a un'altra epoca – Pegoretti parla di tempi d'attesa da 5 minuti a 5 ore, ma nell'Università in cui ho studiato io i libri li dovevo ordinare il giorno prima per il giorno dopo, per dire -, al punto che si arriva a sfiorare il grottesco: "si narra persino che a Firenze diano per alluvionati testi post-alluvione". 
I problemi sono i soliti noti, insomma, e questa condizione già di per sé vergognosa diventa imbarazzante se paragonata ai sistemi bibliotecari esteri. Come porvi rimedio, dunque? La domanda è da un milione di dollari e la soluzione sembra lontana anni luce. Solo una cosa dobbiamo tenere in mente: "ci meritiamo qualcosa di meglio. [...] Perché nessuno, nessuno, decide programmaticamente di restare ignorante, almeno rispetto al lavoro che fa, qualsiasi esso sia. È così da sempre, dagli australopitechi a oggi. È la chiave dell’evoluzione e della crescita".
Alessandra Ribolini

giovedì 10 novembre 2011

Anna Pegoretti, Un muffin in biblioteca


Un muffin in biblioteca
TRATTO DA: 
http://www.ultimasigaretta.com/ (officina letteraria, laboratorio di idee)
 
Nella vita faccio ricerca. Fondamentalmente mi occupo di letteratura e di storia. Il mio laboratorio è la biblioteca e ve lo voglio raccontare.
Moltissime delle biblioteche universitarie inglesi sono a scaffale aperto (vai a prenderti i libri da solo, per intenderci) e sono organizzate in modo tematico (storia, letteratura, teologia, scienze, legge ecc., con un’infinita serie di suddivisioni). Questo significa innanzitutto che, se partirete cercando un libro o un articolo, tornerete indietro con almeno tre, ovvero: avrete scoperto l’esistenza di due titoli che fino a quel momento ignoravate o non avevate preso in considerazione, e che hanno fortissime probabilità di essere molto più utili del primo, quello per cui vi siete mossi. È anche il motivo per cui, in posti come questi, troverete sempre gente seduta per terra sotto montagne di scaffalature alle ore più improbabili. Mai vista una di queste biblioteche chiudere prima delle otto di sera; al Warburg Institute, da borsista, ho avuto la ventura di aggirarmi per i corridoi a mezzanotte, e non ero mai sola. Lì ho imparato una cosa fondamentale: non c’è catalogo, per quanto ben fatto, che possa sostituire i piedi.
L’impulso che un simile sistema dà alla ricerca è incalcolabile (e si vedano le parole di Claudio Giunta su Le parole e le cose). Lo sa chi lo ha provato: la quantità di cose che passano sotto gli occhi e modificano il ragionamento si moltiplica in modo esponenziale. Nelle biblioteche italiane, spesso ottime per patrimonio, si è per lo più costretti a richiedere i volumi (solitamente un numero ridotto) compilando una scheda, aspettare il momento della distribuzione (tempi di attesa: dai 5 minuti alle 5 ore), capire per quanto lo si può tenere, a quali restrizioni è soggetto il fondo cui appartiene, se si possono fare fotocopie. Spesso va tutto bene, ma vi assicuro che si può aspettare per due ore un libro che non arriverà mai, perché nessuno sa che fine abbia fatto (si narra persino che a Firenze diano per alluvionati testi post-alluvione). E comunque, niente piedi.
Un’altra sensibile differenza, forse ancora più importante, sta nel fatto che la biblioteca centrale (che talvolta è l’unica, tranne strutture di servizio per studenti) di un’università anglosassone contiene squadernati tutti i libri a sua disposizione di tutte le discipline. La sezione di storia non è in un altro edificio a due chilometri di distanza. La teologia non è confinata nello scantinato di filosofia e nemmeno all’istituto di scienze religiose finanziato dalla Curia. No. sta al piano di sopra. E i testi di astronomia non devo andare a prendermeli alla Facoltà di Fisica sotto lo sguardo attonito degli astanti (non è un esempio assurdo: a me è capitato). No. Sono lì.
La British Library
Le biblioteche, naturalmente, non sono solo universitarie: ben prima ci sono quelle pubbliche, di quartiere, comunali e nazionali. Esse, si sa, costano, soprattutto quelle specializzate o che ospitano collezioni antiche. Non è semplice spiegare al contribuente medio perché, in tempi tanto tribolati come quelli attuali, dovrebbe finanziare l’acquisto di libri che solo pochi pazzi leggeranno, pagando pure riscaldamento e luce per lunghi orari di apertura. Ma se volete capire cosa può essere davvero una grande biblioteca e cosa può rappresentare per un intero paese, nella vostra prossima gita a Londra fate un salto alla British Library. Fondata nel 1973, essa è l’erede del patrimonio precedentemente conservato al British Museum. I primi nuclei della collezione risalgono al ’700, con le donazioni di alcuni fondi e della libreria di Giorgio III, oggi stoccata in un enorme cubo di vetro al centro della sede di St Pancras. Intorno a quel cubo si diramano i piani e le passerelle di un edificio funzionalissimo e, almeno dentro, splendido (l’esterno è stato paragonato dal Principe Carlo a un forno crematorio…pazienza). Alla base si trovano la caffetteria (ordinate una zuppa e l’ottimo muffin, e mangiateveli ammirando i libri antichi di Re Giorgio) e una serie di divanetti sempre affollati di persone che lavorano con i loro portatili.
La British Library custodisce la seconda collezione al mondo di documenti antichi dopo la Biblioteca Apostolica Vaticana, un immenso numero di libri moderni, una straordinaria collezione di mappe. Ma non solo. È una casa editrice e – credetemi – è un centro di sviluppo di start-up imprenditoriali, di consulenza per l’innovazione e la protezione dei brevetti. Organizza workshop su come si scrive un business plan e fornisce aiuto per le analisi di mercato. Che c’entra una biblioteca con tutto questo? C’entra. Perché lì c’è la world’s knowledge,  come recita il loro slogan: la conoscenza che il mondo possiede di se stesso e ogni possibilità di comunicare. Secondo l’ultimo bilancio, la BL ha ricevuto dal governo inglese 137.9 milioni di sterline (circa 156 milioni di €), oltre al supporto di privati. Si tratta comunque di un budget tagliato, al punto che di recente sono state prepensionate o licenziate moltissime persone.
Non sparate, per carità
Leggendo una dichiarazione del luglio 2010 di Mauro Guerrini, presidente dell’Associazione Italiana Biblioteche, si apprende che gli «investimenti pubblici a favore delle 46 biblioteche statali negli ultimi 5 anni sono stati drasticamente dimezzati, con un abbassamento del budget da 30 a 17 milioni di euro annui» [fonte] (fermatevi un secondo: 17 milioni per 46 biblioteche). Oggi ho firmato un appello  della stessa AIB «per chiedere un’inversione di rotta che porti maggiore attenzione e maggiori risorse per le biblioteche italiane, prima che sia troppo tardi». Qualche giorno fa, invece, ho letto con autentico sconcerto il resoconto di un’assemblea di pericolosi sovversivi (bibliotecari, studiosi, studenti, scrittori, lettori) davanti alla Biblioteca Nazionale di Roma, circondati da un cordone di poliziotti in tenuta anti-sommossa. Qualche mese fa, ero incappata in un articolo di Tullio Gregory sulla prima pagina del Domenicale del Sole24Ore che lanciava un autentico grido d’allarme per le condizioni disperate della Biblioteca Nazionale di Firenze, sopravvissuta sì all’alluvione, ma di fatto agonizzante.
Ci meritiamo qualcosa di meglio. Noi Italiani, dico. Ci meritiamo un posto decente, riscaldato, con una caffetteria dove mangiare una zuppa, la carta igienica nei bagni, prese per i computer ai tavoli. I nostri incredibili tesori (manoscritti, mappe, incunaboli) si meritano sale ariose in cui essere consultati da persone competenti, non obbligatoriamente ottuagenarie, che sappiano come pagare la zuppa di cui sopra. La mia generazione merita l’opportunità di fare impresa a partire dagli scaffali di una biblioteca e dai suoi corridoi. I miei concittadini meritano di visitare mostre gratuite allestite nelle nostre Biblioteche Nazionali, che sono e devono essere motivo di orgoglio. Perché chiunque, chiunque, quando gli fai vedere un libro miniato, un papiro antico, una delle prime Bibbie di Gutenberg, e gli spieghi in trenta secondi, con semplicità e bene che cosa sta guardando, rimane a bocca aperta. E perché nessuno, nessuno, decide programmaticamente di restare ignorante, almeno rispetto al lavoro che fa, qualsiasi esso sia. È così da sempre, dagli australopitechi a oggi. È la chiave dell’evoluzione e della crescita.
pubblicato da
Anna Pegoretti è nata a Trento nel 1978. Dopo gli studi nel Conservatorio della sua città si è trasferita a Bologna, dove si è laureata in Lettere Moderne con una tesi dantesca la cui pubblicazione è stata promossa dalla Facoltà. Nel 2009 ha conseguito un Dottorato in Studi Italianistici presso l’Università di Pisa. Si occupa principalmente di Dante, della sua ricezione manoscritta, della cultura e letteratura medievale nell’Italia due-trecentesca. Nell’autunno del 2010 è Frances A. Yates Fellow presso il “Warburg Institute” di Londra. Nel biennio 2011-12 è Newton International Fellow presso il “Centre for Dante Studies” dell’Università di Leeds (UK). Si sta specializzando nel racchiudere la vita in una valigia ostentando una qualche disinvoltura. Scrive nel blog di Ultima Sigaretta.